Okok, titolo provocatorio me ne rendo conto. Ma questa è davvero la domanda a cui vorrei provare a rispondere oggi e forse contestualizzando la mia riflessione l’argomento vi risulterà meno random (o forse più random).
Avete presente tutte queste pagine simpaticissime sulla moda tipo @fecondazionemilano @fallimentofashion ? Ecco io adoro il format, trovo veramente che siano un fenomeno di crescita per la moda e non a caso parte dal basso, da addett* ai lavor* o appassionat* del settore. Non a caso perché almeno per me è abbastanza assodato che la moda si prenda spesso fin troppo sul serio e, parlando di top brands, a fatica digerisce l’idea di mettersi in discussione approcciando al pubblico in maniera più naturale. Pensate appunto ai luxury brands: tutta la loro autorevolezza legittimata da intoccabili heritage sarebbe messa in discussione se venisse a mancare una certa distanza tra la maison e il pubblico. Anzi, distanza non è la parola esatta, chiamiamo le cose con il proprio nome. La spocchia tipica della moda di cui le autorità del settore si fanno promotrici è qualcosa di folkloristico. Insomma senza snobismo, classismo, senso di superiorità patologico certificato cosa sarebbe la moda? Sarebbe la sorella di se stessa più simpatica ma probabilmente meno credibile.
Ho iniziato quindi a riflettere dalle pagine citate prima ma in particolare da un account che makes my day everyday: @stressedstylist che pubblica meme sul mondo dello styling che ovviamente alcun* faranno fatica a capire ma che tipo io capisco fin troppo bene. Ecco quella è la mia pagina preferita perché prende una figura prima sconosciuta poi venerata come quella dell* stylist e la umanizza raccontando in maniera irriverente cosa davvero significa fare questo lavoro. Spoiler: non è per niente glamour come sembra.

Nell’analizzare i post di questi profili mi sono resa conto che aldilà dell’ironia, della normalizzazione delle professioni moda e delle sue dinamiche c’è ancora sparsa qua e la qualche mollica di spocchia e di voglia di dettare le regole nella moda, come se questo settore non potesse davvero essere regolato dalla self expression e dalla spontaneità in cui invece una buona parte del pubblico sta cercando di portarlo. Avete presente il normcore, la controtendenza delle foto brutte su Instagram, il ritorno dell’estetica Y2K, l’Instagram verità ecc. ecc.? Bene, tutto questo movimento che combatte la perfezione proposta da Instagram è riuscito forse davvero a scalfire la maschera d’oro della moda. Basterà un cifra esigua di Maria Grazia Chiuri aka puritan* del fashion per mantenere viva la spocchia? Secondo me si. Per riassumere: perché leggo ancora sotto alcuni post di pagine sul true fashion lifestyle “puoi indossare questo con questo, ma non quello con questo?” Perché l’ironia nella moda può essere solo spocchiosa e non rilassata? Ma soprattutto: ha ancora senso essere snob nella moda oggi? Insomma stiamo davvero promuovendo la libera espressione dell’individuo tramite gli abiti o stiamo solo esortando gli altri a farlo così da poterci prendere gioco di loro?
La mia risposta, personalissima e permeata della mia esperienza nel settore è che no, non c’è motivo per cui nel 2022 dovrebbe ancora essere trendy un approccio snob alla moda e all’aspetto altrui. Non mi piace leggere post in cui le ragazze vengono classificate in “Zara” e “non Zara” in tono denigratorio per la prima categoria; oppure post in cui un certo modo di vestire viene definito in o out così per diletto dell’autore del post. Piuttosto perderei tempo a chiedermi che senso abbia, dopo il nuovo avvento di una moda creativa, influenzata dal thrifting e dal DIY di TikTok, giudicare l’abbigliamento di altr*? Per me, scusate se lo dico, può farlo solo un* professionista e solo se interpellat*.
Tipo: se mi incontri per strada e fai Armocromia e mi dici che il colore che ho messo mi sta male come ti ha detto Rossella Migliaccio io non la prendo bene. Perché non ho chiesto la tua consulenza.

Consigliare è lecito. Giudicare spero non vada più di moda.
Cambiando prospettiva possiamo osservare che un atteggiamento di distacco ha da sempre reso i professionisti della moda degli esseri rispettabili da un lato ma anche antipatici dall’altro. Ad esempio stylist e consulenti d’immagine sono stati per anni visti come figure dispotiche mosse dalla volontà di insegnare agli come vestirsi e non come dei veri e propri esperti del settore che potrebbero aiutare chiunque a curare la propria immagine. Chi lavora nella moda è continuamente in relazione con l’altr* e quindi non può proprio permettersi un atteggiamento snob o esclusivista. Intimidire per associarsi ad uno status è una delle scelte professionali più stupide che si possa fare.
Ma per capire meglio il fenomeno ho sottoposto la questione anche a voi sul mio profilo Instagram tramite sondaggi e domande.
Vediamo insieme i risultati:

Vero è che la moda nasce storicamente nelle corti e per niente democratica. Si trattava infatti di un lusso riservato solo agli alti ranghi che iniziarono a “giocare” con le proprie vesti proprio al fine di esprimere il loro potere. Negli anni si è trasformata e raggiunge secondo me l’apice del suo significato ogni volta che riesce a rappresentare una rivolta giovanile, una minoranza, ad essere mezzo di espressione di un dissenso. Noi oggi siamo il prodotto perfetto per l’espressione massima della moda. Siamo dissenso, disagio, appartenenza, alienazione, sopraffazione, depressione, povertà e ricchezza, consapevolezza e incoscienza, prigionieri.
La moda potrebbe, se glielo lasciassimo fare, raggiungere il suo momento di massima varietà e di voluta anarchia. Promuovendo anche nel piccolo un sistema moda regolato dall’espressione del singolo potremmo vedere il fenomeno vero esplodere e perdere le classificazioni a favore di un’incredibile fertilità creativa. Opporsi a questa crescita è ridicolo. E poi sinceramente questa figura del* fashion victim che giudica tutt* non fa ridere per niente. Non ha mai fatto ridere.