Non ho parlato di collezioni ultimamente, per scelta. Fino alla Haute Couture Week di Parigi. Il fatto è che ad oggi mi sembra davvero troppo semplice leggere qualche post di qualche analista della moda illuminato e poi farne una mia opinione buttando giù due o tre ragionamenti sensati su quello che il Creative Director vuole dire.
Sono anni che parlo tecnicamente delle sfilate sui magazine analizzando trend, tessuti, mood, location, lavorazioni, ispirazioni. Tutto è così pieno che alla fine mi sembra vuoto. Quindi quando mi trovo davanti uno show che mi colpisce decido di isolarmi: lo osservo, lo analizzo, lo guardo di nuovo finché non capisco bene cosa ha attirato la mia attenzione.

Demna Gvasalia (ti amo ciao kiss) ha appena presentato la sua ultima collezione Haute Couture Fall Winter 23 per Balenciaga a Parigi. Seguo da tempo il suo lavoro e pensavo mi piacesse e mi scuotesse solo per la mia innata propensione ad una moda sperimentale e concettuale. Invece no. Ieri, guardando la sfilata settecento volte ho capito che la sperimentazione stilistica e mediatica di Balenciaga deve il suo potere al fatto che nulla sia tralasciato. In Balenciaga un’idea non trascura l’esecuzione, l’ispirazione è sempre terrena ma orientata all’inesplorato, lo studio del nuovo non compromette la perfezione del risultato finale, la devozione alla pop culture non svuota di significato.
Balenciaga non piace perché è mainstream. Balenciaga è mainstream perché piace.
Mi spiego: non è scontato che quello che fa Demna venga apprezzato, anche se utilizza Kim Kardashian come volto. Quindi se ci accorgiamo che funziona, perchè non spingere al massimo? Nella collezione Haute Couture Fall Winter 23 di Balenciaga vediamo sfilare una prima parte dei modelli in total black con degli abiti che sembrano una negazione della moda. I volti coperti contribuiscono a creare anche una negazione dell’identità e forse, della stessa presenza. Nulla di nuovo: Demna aveva già accennato a questa sua indagine nella sfilata per la collezione Spring Summer 23. Sulle note di Hedge Fund Trance di BFRND hanno sfilato figure coperte dalla testa ai piedi in tute di latex con indosso outfit dai diversi stili che hanno fatto incontrare sulla passerella il denim e gli abiti dalle linee romantiche.

La storia si ripete e stavolta in una versione ancora più efficace. Se la prima uscita dell’esperimento di Demna era stata forte, diretta, esplicita e inquietante, per la Couture Week il mood era ovviamente più elegante e affascinante. Mentre continuiamo a vedere show e collezioni che conservano modelli di eleganza estemporanea ma anche fuori contesto, succede che un designer messo a capo di una maison fondata dal “maestro di tutti i couturier” inventa una nuova dimensione dell’Haute Couture che rinuncia al nichilismo e si tuffa nel contesto sociale.
Quando fai Alta Moda il bello è che puoi creare abiti bellissimi e costosissimi che non hanno bisogno di una ragion d’essere (più o meno). Ma Demna cerca i significati della moda e la indaga scoprendo che un couturier vive la sua epoca e che l’abito, come espressione d’arte, ha bisogno di essere ristudiato sul corpo moderno.
E’ una fase di transizione la sua, uno studio delle forme e dei significati della moda attraverso i suoi elementi basilari che non perdono la loro incredibile perfezione firmata Balenciaga.
Osservate questi outfit e capi total black: le linee sono perfette, le proporzioni millimetriche, l’abito è pelle che sceglie la sua forma. Nella rifiuto dell’identità c’è una rivendicazione di esistenza: le borse sono speaker. Se in uno scenario post-umano c’è musica è perché in un contesto storico disorientato come il nostro c’è ancora arte e questo è un miracolo.
Mi colpisce davvero la perfezione della costruzione degli abiti e degli outfit total black della prima parte della sfilata per la collezione Haute Couture Fall Winter 23 di Balenciaga. Nella seconda parte della collezione invece il denim è protagonista e si declina in tagli sartoriali che trasformano dei jeans in dei pantaloni dal fit perfetto che sarebbero propri di uno smoking. Nell’apatia delle identità celate emergono le maglie con volumi e movimenti simulati che catturano il tempo e mostrano la faccia couture dei un capo mainstream.
Se la moda di cui abbiamo bisogno è più modesta allora possiamo rivoluzionarla iniettando nella sua anima l’unicità delle lavorazioni.
Nell’ultima parte della sfilata ci sono abiti dal taglio anni ’50 che richiamano irrimediabilmente lo studio delle costruzioni di Cristobal Balenciaga. Demna ha scelto di mostrare gli ultimi volti che calcheranno la passerella: ci sono delle celebrità e portano il loro personaggio avvolto in abiti decisamente più couture ma assolutamente ancora concettuali come quello indossato da Nicole Kidman.
Cosa mi convince ancora di più di tutta questa storia narrata a Parigi? Vedere Christine Quinn sfilare. Un personaggio che sovrasta e nasconde la persona, un’identità controversa e mainstream, anzi trash. Mentre vediamo muse dall’allure parigina farsi carico della rappresentazione di un’eleganza in cui non crede più nessuno, qui possiamo ammirare l’esaltazione dei volti del guilty pleasure.




Nel post-moda di Demna regna una nuova identità del vestito di cui dobbiamo necessariamente tener conto. E’ una traduzione ancora work-in-progress, è la bozza di se stessa ma sono sicura che Balenciaga dando fiducia a Demna stia semplicemente aprendo le porte al futuro.