Le critiche a Off-White: puritanesimo della moda?

Sono giorni che ci penso guardando uno screen sul mio smartphone, che forse dopo aver letto e riletto un articolo che distrugge senza mezzi termini il futuro di Off-White senza Virgil Abloh, fosse arrivato il momento di farmi una mia idea più precisa. Ho cercato versioni opposte alla condanna di Fashion Network ( qui l’articolo) ma non ho trovato lodi spassionate alla collezione FW 22/23 di Off-White. Ho apprezzato invece una ricostruzione di NSSmagazine di Lorenzo Salamone che ripercorre la storia della creatura di Virgil Abloh auspicando ad un futuro in realtà abbastanza promettente per il marchio.

In realtà a me, sapere quanto fatturerà Off-White nei prossimi anni e se effettivamente il marchio riuscirà a sopravvivere alla prematura dipartita di Virgil Abloh, interessa quasi zero. Quello che mi preme è capire perché l’ultima collezione, iniziata da Abloh e poi continuata dal suo team, non sia stata affatto apprezzata. Anzi forse la domanda che mi sorge più spontanea è: tenendo conto del fastidio che ha dato Virgil Abloh ai puritani della moda, evidenziando l’ipocrisia di un ambiente fertile che in realtà pratica clausura creativa, quanto è facile distruggere Off-White dopo la sua morte?

La collezione FW 22/23 di Off-White è stato in realtà anche per me un momento particolare, che faccio fatica a definire. Un misto di sensazioni discordanti che mi hanno fatto ricordare quanto avessimo in realtà perso salutando Virgil Abloh. Ma anche quanto avesse fatto. Il che si può dimenticare in fretta pensando alla velocità con cui un creativo oggi si priva della sua arte per regalarla, o venderla, al mondo. Insomma andiamo veloci e dimentichiamo in fretta e forse ci farebbe bene di tanto in tanto utilizzare gli strumenti che abbiamo per tornare indietro e renderci conto di quanto il nostro sistema non valorizzi il genio in ogni sua forma.

“QUESTION EVERYTHING” e non devo aggiungere altro. Se un creativo riesce a colpire emotivamente il pubblico piegandosi alla necessità odierna di sintesi, allora per me ha compiuto il suo piccolo miracolo ammettendo, anche a se stesso, che tutto è temporaneo. Questa la frase che ha introdotto la sfilata già giorni prima diventando lo slogan mediatico per accogliere e attirare pubblico e invitati. In un’intensa raccolta di critiche che accolgo in parte, il primo commento negativo che leggo è sulla location, il che per me è esattamente il nulla scritto in stampatello su un’intangibile pagina bianca. Voglio sorvolare su questo ma ci tenevo a citare la cosa per dire che: alcune critiche su questa sfilata sono assolutamente lecite ma anche che gli “scivoloni” citati per me sono assolutamente giustificabili. A questo aggiungo che non si può a mio parere, nel rispetto delle dinamiche lavorative che si celano dietro la creazione del prodotto moda, pensare di criticare una collezione a tal punto da definire finita la vita di un marchio. Soprattutto se il marchio citato è l’espressione personalissima di un artista e ne rappresenta la trasversalità creativa (il che lo rende più vulnerabile ma anche intoccabile). E poi anche se fosse? Vogliamo prenderci il merito della previsione? Wow!

La collezione FW 22/23 di Off-White ha annunciato diverse novità tra cui la linea Haute Couture “HIGH FASHION” e infatti la sfilata si è divisa in due parti di cui la prima dedicata al prêt-à-porter e l’altra all’Alta Moda (iniziata da Virgil e poi continuata dal team). A sfilare e ad occupare i posti nelle prime file sono accorsi tutti gli alleati e le muse di Virgil Abloh, intenti a contribuire in maniera decisiva al tributo all’artista. Infatti in passerella si sono visti dei chiari riferimenti al suo lavoro (ve li elenco senza tecnicismi per renderli comprensibili a tutte/i): gli abiti ibridi con hoodie, esplosioni irregolari di tulle, mini dress con boots abbinati, snapback dalle proporzioni esagerate oppure con corna, college jackets, suits dalle linee pulite abbinati a pantaloni che giocano con i volumi. Asimmetrie, prospettive riviste, un abito da sposa che consiste in una gonna in tulle e una t-shirt annodata. In tutto questo sono comparsi alcuni riferimenti che hanno fatto agitare la critica e non hanno fatto applaudire gli ospiti: scarpe con il tacco a forma di candela, troppo simili ad un modello proposto da Jonathan Anderson per Loewe, cappelli che somigliano a quelli da fantino di di Gucci (?), abiti kilt che sembrano quelli di Vivienne Westwood, borse intrecciate che emulano Bottega Veneta. A questo proposito voglio ricordare che Off-White aveva già proposto una borsa intrecciata, che in realtà emulava i quadri stampati di altri modelli e non l’intrecciato Bottega, visibile anche in video su YouTube in cui Virgil mostra il lavoro dietro le quinte da Louis Vuitton. Quindi ora non ho capito se stiamo criticando il marchio in toto o la collezione o Virgil. Poi lasciatemi definitivamente esprimere sull’amatissima quote amata dai conservatori per cui “ha copiato quì, ha copiato lì. Niente di nuovo. Questo è uguale a quello”. Ditemi un’invenzione nuova nella moda negli ultimi 10 anni. Ditemela perché siccome la moda sarebbe ciclica per sua natura, mi riesce un attimo difficile credere che qualcuno possa davvero inventare qualcosa. E non mi sembra scorretto auspicarlo, mi sembra oltremodo assurdo puntualizzarlo ogni volta.

Ma questo giudizio deve essere frutto dell’eccessiva creatività a cui Abloh ci ha abituati, giusto? Non è semplicemente criticare il marchio di un designer fuori dai canoni sociali dell’ambiente proprio quando non c’è più. No?

Ammesso che la collezione non è entusiasmante se non per alcuni pezzi che adoro, gli applausi non sono esplosi perché non era geniale, non ha stupito e non ha mostrato il alto visionario che volevamo tutti, non perché c’è stata qualche ispirazione di troppo. Visto che osserviamo continuamente marchi proporre la stessa roba da circa 100 anni. E nessuno si lamenta. La collezione non è stata all’altezza del nome che la firma (in parte) ed è assolutamente lecito non apprezzarla. Io, da fan, riconosco in alcuni pezzi l’identità del marchio, in altri vedo solo la necessità di portare a termine il lavoro. Non per questo metto una pietra su Off-White e su tutto quello che è stato e che si potrebbe continuare a fare per far sopravvivere l’identità di Virgil Abloh.

Mandatory Credit: Photo by Vianney Le Caer/AP/Shutterstock (12827550ax) Kaia Gerber wears a creation as part of the Off-White Ready To Wear Fall/Winter 2022-2023 fashion collection, unveiled during the Fashion Week in Paris Fashion Off-White F/W 22-23, Paris, France – 28 Feb 2022

Io spero che Off-White sopravviva per un semplice motivo: dimostrare ai paladini del savoir-faire che quella nuova moda che per loro “non esiste e fa tutta schifo” in realtà c’è e manda avanti la baracca. Secondo me la critica gratuita ad un brand che nasce dallo streetwear, in un momento di forte difficoltà, non è per niente casuale. Servita su un piatto d’argento? Si, diciamolo. Semplicistica? Troppo. Sapete qual è la risposta sensazionale? Brand streetwear che sfilano e iniziano a calpestare lo stesso pavimento dei marchi del lusso, nuovi creativi che bussano alla porta del pubblico togliendo una piccolissima fetta di mercato a chi vuole a tutti i costi una moda che va in una sola direzione. E in tutto questo ricordo che Louis Vuitton ha scelto Abloh per le collezioni uomo perché loro sono abbastanza furbi da trattare il “nemico” meglio dell’amico per vincere.

Di recente ho avuto una conversazione con una persona di grande esperienza nel settore moda, una di quelle con tante cose da raccontare, tanti contatti e tante risorse. Ad un certo punto della chiacchierata mi dice senza mezzi termini “quale nuova moda? Non esiste, fa schifo“. Per me l’affermazione è abbastanza confusa: “non esiste”. Ok. “Fa schifo”. Questo preclude appunto che nuove proposte ci siano, ma che magai non siano di gradimento dell’interlocutore. Sacrosanta espressione di gusto estetico. Ma smettiamola di rimpiangere le boutique dell’Italia del boom economico e accogliamo questa timida richiesta di novità. Un segnale che arriva direttamente da chi, stanco di essere un numero dentro un atelier di lusso dal nome fin troppo conosciuto per poter pagare solo uno stipendio da stagista, vuole dire la sua e dire sulla stoffa quello che il mondo dovrebbe assolutamente ascoltare. Si, è un’epoca in cui si vende solo e i giovani designer non vogliono altro che vedere i propri capi indossati, sono già corrotti all’inizio. E se lo sono è perché forse hanno fatto esperienza dentro qualcuno di quegli atelier e dei sogni non è rimasto altro che la frustrazione di non veder mai ricompensato il proprio lavoro. Per me meglio loro. Di chi professa la moda del futuro solo a parole. E allora spero in Heron Preston, in Palm Angels, in Vetements, Marine Serre, Nensi Dojaka, Sunnei e tantissimi altri che non cito ora perché spero di doverne parlare presto. Ora questo elenco è riduttivo e poco esplicativo: quello che ci tengo a dire è che ho immancabilmente associato questa critica ad una più ampia, mossa continuamente a qualsiasi espressione esuli dalle classiche visioni moda. Ed è così da sempre. Quindi basta, veramente. Qualsiasi marchio può sopravvivere anche senza la nostra approvazione e non abbiamo il diritto, in quanto parte del settore, di dichiarare morto un progetto che è stato più grande di quello che vogliamo pensare. E io non sono imparziale lo so, soprattutto adesso che è fin troppo facile criticare un’azienda che deve cercare di eguagliare un mito.

Ovviamente sono aperta a qualsiasi visione e sarei davvero super felice di potermi confrontare sull’argomento visto che resta, almeno per me, una questione sempre aperta.

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