Ebbene si, sono tornata alla mia rubrica (appena poco) polemica sulla moda e il suo mondo criptato “Cosa la gente non ha capito della moda”. Il vostro nuovo appuntamento preferito dopo il #tgiff questa volta sarà dedicato alla seconda parte del tema “Perchè le sfilate digitali non sostituiranno quelle fisiche” per concludere un discorso importante che vi ha coinvolto particolarmente. Se non avete ancora letto la parte 1 di questo articolo vi consiglio di recuperarlo quì prima di procedere con la seconda parte.
Bene, ora che avete recuperato o riletto l’articolo precedente possiamo procedere con le conclusioni di questa discussione che anche sui social ha mostrato pareri diversi e molto interessanti. Ci siamo lasciati ragionando sui limiti delle sfilate digitali per le diverse figure professionali della moda che solitamente, e per necessità, devono confrontarsi fisicamente con il prodotto. Per essere davvero analitica e imparziale vi proporrò anche qualche riflessione su un effetto collaterale generato dall’avvento delle sfilate digitali, ma anche dalla presenza ancora più forte dei brand sui social, che per qualcuno è stato positivo.
Le sfilate e gli eventi moda come abbiamo visto sono piuttosto esclusivi quindi in un certo senso lasciano fuori dal pubblico tutti quegli appassionati che non sono inseriti nelle professioni moda o nell’ambiente in generale.
Insomma quanti di voi vorrebbero essere presenti alla sfilata del loro brand preferito e probabilmente non riusciranno mai a farlo?

Buona notizia: questo esclusivismo potrebbe essere presto risolto dall’avvento delle fashion week digitali. Per quanto riguarda Milano Moda Uomo ad esempio, i fashion show si sono svolti in veste digitale sulla piattaforma dedicata di Camera Moda ad accesso libero: detto in parole povere non serve nessuna qualifica per visionare i video o le sfilate realizzati per presentare le collezioni. In realtà già in passato alcuni fashion show particolarmente spettacolari o celebrativi erano stati resi disponibili in live sui social come Instagram così che anche i followers dei loro profili potessero vedere la collezione in tempo reale. Durante le prime edizioni della Fashion Week Milanese a cui ho partecipato era possibile vedere le sfilate in calendario in live su degli schermi installati in giro per la città. Insomma diciamo che i primi segnali di una certa “apertura” verso tutto il pubblico c’erano già stati anni fa senza i condizionamenti e le pressioni esercitate dal Covid. Quindi in questo senso il cambiamento era già partito dall’interno. Perchè? Perchè come abbiamo già detto i social e i media si sono rivelati per le aziende un mezzo incredibile per allargare il pubblico e diffondere la brand image in maniera immediata e semplice.

Sono d’accordo? Assolutamente si! Io la definirei una furbata da parte dei brand per avere fisicamente accanto gli addetti ai lavori e gli esperti del settore durante lo show coltivando però anche tutto un pubblico di appassionati attraverso un’esperienza digitale che li faccia sentire parte del “sogno” e della macchina della moda. La definirei una DEMOCRATIZZAZIONE della moda nel senso più poetico del termine, un tentativo di aprirsi al pubblico in maniera più profonda. Anche perchè poi, in fondo, chi acquista è nascosto tra quei followers. E se negli ultimi anni monetizzare è diventato il nuovo modo di fare arte viene da sé che ogni possibile cliente va coccolato.
Il fenomeno di cui vi ho parlato si è sicuramente enfatizzato durante l’era Covid eliminando ancora di più le differenze nel pubblico che osserva. Tutto molto bello e romantico. Finché non si viene al concreto. Ovvero al fatto che le differenze nel pubblico che osserva non sono necessariamente classiste, piuttosto con queste nuove consapevolezze si può praticare inclusività mantenendo però la giusta linea tra interesse e lavoro. le sfilate e gli eventi digitali possono rappresentare un’enorme rivoluzione per gli appassionati e i potenziali clienti. Per gli addetti ai lavori sono una comodità e un limite allo stesso tempo. Non parlo dei tempi correnti, in cui per motivi che ci sono tristemente noti la prudenza deve essere necessariamente una priorità, ma del futuro prossimo. Si è chacchierato molto sulla comodità dello smart working e sull’eliminazione del superfluo.
Ecco, il superfluo: la moda è per molti qualcosa di superfluo che si serve di cose superflue per ottenere risultati superflui.
Un superfluo di 71.7 miliardi di euro (all’anno in Italia)
Capite da voi senza troppe spiegazioni che non regge. Stiamo parlando di un’industria che supporta economicamente una nazione intera e che smuove un numero enorme di lavoratori sia abituali che occasionali coinvolgendo un incredibile numero di settori, anche i più impensabili. Ne risulta che tifare per uno smart working anti-sprechi significherebbe tagliare le gambe ad un generatore di introiti travestiti da arte che piace alla gente. Se la moda deve imparare a non sprecare deve farlo nella sua produzione e nelle sue dinamiche di distribuzione, deve farlo soprattutto nei suoi settori più economici come il fast fashion, che tra l’altro non sfila sulle passerelle. Se la moda deve cambiare deve farlo nei tessuti rifiutando lavorazioni e materiali che non rispettano animali, natura e lavoratori. La moda è colpevole? Si. E’ un industria a cui fare la guerra? In parte.
Ma non per quanto riguarda la presenza fisica alle sue manifestazioni.
Se tutto questo si fermasse non ci sarebbe più magia e non ci sarebbe più nessun heritage e nessuna tradizione. Si può discutere di tutto. Ma non di questo.
Dove c’è prodotto c’è presenza. Quando e ove possibile e necessario. Ma bisogna esserci.
Si potrebbe riservare gli eventi fisici ai professionisti e mantenere gli eventi in streaming per tutto il resto del pubblico. Perchè no?
Ci si può rimodernare per proporre gli eventi anche se fisicamente in altre formule che tengano conto delle esigenze globali attuali? Non mi viene in mente nulla, forse si o forse no. Ma non sarebbe comunque un cambiamento che si ottiene in due anni sotto le continue pressioni sanitarie e legislative.
Dopo tutti questi spunti e questi ragionamenti mi sorge però una domanda:
Quanti di voi si sentirebbero al sicuro a partecipare ad un evento/fashion show? Io credo forse nessuno, oppure pochissimi, ma vorrei avere una risposta da voi per concludere questa discussione che in realtà conclusione non ha.
Fatemi sapere cosa pensate dell’argomento nei commenti oppure su Instagram 🙂 Il mio profilo è sempre questo @gaiash_